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ACcogliere o RACcogliere i cocci (del cuore)?

L’esperienza di Affido che noi abbiamo da raccontare non è sicuramente incoraggiante.

Dopo anni facciamo ancora fatica a dimenticare quei lunghi mesi di notti insonni e lacrime soffocate. Sono cambiate tante cose da allora nella nostra vita, siamo cresciuti velocemente, ci siamo curati le ferite dell’anima, abbiamo rivisto tanti rapporti, familiari e amicali, dando a ciascuno il proprio posto nella nostra scala delle priorità.

Aprire il cuore ad un bambino in difficoltà, destinato altrimenti a trascorrere anni della propria vita in comunità è stato il punto di arrivo di un processo interiore che io e mio marito abbiamo iniziato sin dai primi anni di fidanzamento. Fortemente convinti di voler dare un senso al nostro amore, accogliendo un bambino in affido, abbiamo prestato il nostro tempo come volontari in una casa famiglia della nostra zona. Organizzavamo compleanni, gite, pizzate, passeggiate fuori porta. Davamo una mano alle suore nella gestione del tempo libero dei bambini, ma dopo un anno non ci bastava più, volevamo dare una vita normale, una casa, una famiglia a chi non l’aveva.

I servizi territoriali furono incaricati di seguirci nel nostro percorso di coppia. Dopo circa 8 mesi avevamo le carte in regola per accogliere un bambino in affido. Eravamo convinti di essere una risorsa, almeno così ci disse la psicologa che preparò la relazione, molto positiva.

Ma il tempo passava e nessuno chiamava. Anzi avevo quasi la sensazione che tutto quello che avevamo fatto era solo aria fritta, una relazione archiviata, dimenticati chissà dove…

Passò un altro anno. Poi un giorno mi venne in mente di contattare un giudice, uno psicologo che collaborava con una casa famiglia dove facevamo volontariato.

Molto incuriosito ci chiamò. Ci disse che era una modalità alquanto bizzarra, una procedura al contrario.

-Le famiglie vengono chiamate dai servizi sociali che spesso gestiscono in autonomia tutte le procedure dell’affido- disse. Mi chiesi come mai i nostri servizi non ci avessero mai chiamati, forse non avevano necessità di collocare un minore?… Ma in questo caso la risorsa famiglia rimane a invecchiare aspettando la chiamata dei solo servizi sociali di riferimento? Non esiste un data base regionale da cui poter attingere?

 Il giudice ci parlò non di un bambino, ma di due fratelli, senza prendere in considerazione nulla di noi, la nostra età, la quasi nulla esperienza genitoriale (volontariato a parte), il fatto che lavoravamo entrambi…due preadolescenti che vennero descritti come bisognosi d’amore e stabilità…niente più.

Parlò  di affido sine die, anche se i bambini vedevano con cadenza quindicinale il padre e la madre, che erano separati. Ci mostrò le foto. Eravamo felici.

L’avvicinamento con i bambini  fu piuttosto veloce e confusionario.  Sempre gentili e impostati cercavano ogni occasione per fare bella figura. Avevano fretta di conquistarci e di venir via dalla comunità. Era chiaro. Ma ci sembrò plausibile. Il loro ingresso a casa coincise con la fine della scuola. Io ero più libera e anche mio marito. Andavamo al mare, cene con gli amici, tornei di calcetto, anche gli incontri con i genitori sembravano  positivi.…tutto andò bene per un mese circa.  Sin quando non li trovai in chiari atteggiamenti sessuali  tra loro. Provai paura e imbarazzo. Non riuscii a gestire la cosa sul momento.

Chiamai l’assistente sociale , gli raccontai l’accaduto, si mostrò stupita e allarmata.

La comunità non aveva mai parlato di comportamenti simili. Mi assicurarono interventi tempestivi.

Nei giorni successivi il fratello grande iniziò a manipolare il piccolo. Lo picchiava brutalmente quando noi non eravamo presenti, magari ero occupata a lavare i piatti. Sentivo urla e pianti, correvo nella cameretta e trovavo il piccolo con grossi segni sulla faccia. Erano pugni. Ne ebbi la conferma giorni dopo quando assistetti in prima persona. Portai i fratellini dalla psicologa, ma fecero scena muta, sia in coppia che singolarmente. Cercammo di essere accoglienti ma fermi. Se si comportavano male, non si andava al mare o “punizioni” del genere. Tutto degenerò in un incontro con la madre, che promise una cameretta nuova e un lavoro sicuro – Mamma si rimette in sesto e vi riporta a casa-

Distrussero gli abiti che indossavano e quelli che avevano dentro all’armadio, ruppero la porta di casa a colpi di pietre e rubarono dai vicini. Il grande iniziò ad avere attenzioni “particolari” nei miei confronti, il piccolo sottomesso fece la cacca e imbrattò tutto, muri e mobilia di casa. Disperati cercammo aiuto presso i nostri servizi sociali, chiamammo il giudice, la psicologa, gli operatori della casa famiglia. Era agosto. Ferie di mezzo. Tutto chiuso. A risentirci a settembre. Fu l’estate più lunga della nostra vita. Persi 8 kg , mio marito qualcuno meno. La nostra casa era diventata un campo di battaglia. I bambini e la loro disperazione presero il sopravvento.

Intorno a noi, il vuoto.

Fummo lasciati soli.

Qualcuno ci disse, che non ce l’aveva prescritto il medico.

E mentre ogni cosa precipitava, noi, con le poche forze rimaste ogni giorno cercavamo di vedere oltre questa rabbia e queste perversioni. Ma era così difficile comunicare con loro che alla fine la psicologa da cui andavamo tutti (a pagamento)ci consigliò vivamente di abbandonare il progetto.

Vennero a prenderli i primi di settembre due operatori della comunità.

Ci dissero. Sono ragazzini che hanno visto e forse subito violenza sin dalla tenerissima età.

Il grande ha picchiato diverse educatrici.

Il piccolo è vittima due volte. Dei genitori e del fratello.

Nessuno ce lo disse quel giorno in Tribunale.

E nemmeno successivamente, ne gli operatori della casa famiglia o l’assistente sociale.

I bambini tornarono con la madre l’anno dopo.

E doveva essere un sine die.

Commenti: 1
  • #1

    Domenica (venerdì, 22 febbraio 2019)

    Vorrei adottare una ragazza di 20 straniera che è ospite a casa mia , ha un passato terribile con una mamma biologica molto cattiva e vorrei che diventasse mia figlia potete supportarmi e dirmi cosa devo fare?