
Mentre vi sto scrivendo, non a caso, suonano le note di "Non ce l'ho con te" di Pierdavide Carone, che parla di amore filiale, di nuove consapevolezze, di perdono verso chi mette al mondo che, prima di essere genitore, è un essere umano e, come tale, fallibile.
È un brano che si presta ad essere una perfetta colonna sonora per questo periodo che ci vede nuovamente protagonisti nell’iter di rinnovo della Dichiarazione di Disponibilità all’Adozione: in questa nuova esperienza siamo ancora più maturi, ancora più autentici, con le braccia ancora più aperte di tre anni fa. E con il cuore “redento”. Sempre più pronto, quando busseranno alla nostra porta, ad accogliere occhi, gambe, braccia, anima che racconteranno una nuova e importante Storia che si fonderà alla Nostra.
La “scatola” dell’adozione l’abbiamo aperta nel 2022 e ci abbiamo guardato dentro, quando, (durante e) dopo il Corso di Preparazione all’Adozione, il Tribunale ha dichiarato la nostra idoneità. E, per noi, non è stata solo un’idoneità, come quella per la guida o all’esame di inglese, che pure hanno la loro difficoltà. È stato molto di più.
In quel Decreto, non c’era, nero su bianco, solo il nostro amore, la nostra maturità emotiva, la nostra vita insieme. Non solo i nostri 6 anni di matrimonio (6 di allora, 9 attuali).
C’era anche la mia disabilità motoria, che, guardando al benessere di un/a “nanetto/a”, poteva far emergere interrogativi di una certa rilevanza: non è stato affatto facile, gli ostacoli ci sono stati (non normativi, bensì - diciamo così - "culturali"), ma non posti da parte di assistenti sociali, psicologi e giudici, che hanno fatto un lavoro encomiabile.
Questi inciampi sono stati superati attraverso una attenta valutazione di tutti gli attori istituzionali, compreso il Tribunale che, dovendo porre al centro il/la bambino/a e i suoi bisogni, hanno avuto necessità di comprendere quanta consapevolezza e concretezza avessimo (in particolare, io) maturato rispetto ai miei “limiti fisici” da contemperare con le esigenze pratiche di “nostro figlio”. Perché – intendiamoci – a parole, è tutto bello, ma, quando un esserino nasce dalla pancia o dal cuore, la responsabilità del suo benessere è dell’adulto, non il contrario.
Abbiamo fatto, perciò, qualche colloquio in più volto ad analizzare quanto la mia condizione potesse influire concretamente sul benessere del bambino (che è l'interesse primario e va oltre tutto, anche oltre il nostro desiderio di essere genitori), ma nulla ha impedito di giungere ad una valutazione positiva di noi come coppia e di me come potenziale madre.
La disabilità, del resto, se letta come una condizione e non come una condanna, non limita, così come tutte le difficoltà oggettive e concrete che ci possono essere nella vita e che non possono - e non devono - essere "demonizzate", né sminuite.
Meritano, a mio avviso, semplicemente di essere viste e, non senza dolore, accettate come parte di sé.
Buon cammino verso la gioia che attendete.
Tanta gratitudine, ancora una volta, va alla rete “Mamme Matte” per i Germogli di Speranza e Serenità che continua a seminare incessantemente.
Con affetto.
Carmen.
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