
di Laura Soria
Sono storie che non si raccontano spesso, perché vivono tra le mura di casa e portano con sé emozioni contrastanti: amore, fatica, paura, resilienza. Questa è la quotidianità di chi cresce e convive con una disabilità complessa, in questo caso la sindrome dell’X fragile.
È il racconto di una madre che ha deciso coraggiosamente di scrivere un blog, ma anche di una madre che da sorella ha già conosciuto questa condizione nella propria infanzia.
È la testimonianza di cosa significhi essere caregiver ogni giorno: non solo assistere, ma adattare la vita, rinunciare a parti di sé, cercare spazi di serenità per tutti i membri della famiglia.
La disabilità è anche questo: giornate in cui l’amore convive con la paura, in cui si proteggono i figli non solo dal mondo esterno, ma a volte anche l’uno dall’altro. È il peso silenzioso di chi affronta scatti di rabbia, terapie, rinunce, adattamenti continui. È una madre che si trasforma in caregiver, una sorella che impara a fare spazio, una famiglia che cerca un equilibrio possibile.
Dietro ogni terapia, ogni abbraccio dopo uno scatto di rabbia, ogni tentativo di proteggere un figlio dall’altro, c’è la consapevolezza che questo non è un “momento passeggero”, ma una condizione che accompagna la vita intera. È un racconto senza filtri, dove la fragilità e la forza si intrecciano, e dove si scopre che, a volte, la terapia diventa il porto sicuro più di quanto non lo sia la casa.
Grazie Laura
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F, all’improvviso, senza nessun motivo, le ha dato il telecomando sulla fronte a S. si è arrossata tanto, le ho messo il ghiaccio, ed è rimasta accoccolata accanto a me. Fl, è stato ripreso, ha iniziato a piangere, quando S, ha iniziato a riprendersi, l’ha abbracciata.
Sono giorni, in cui, dico a S., di non stare troppo vicino F., ha degli scatti incontrollabili durante la giornata, nei momenti di caldo estremo. La settimana scorsa è andata molto bene, le temperature erano calate..ma nuovamente, è diventato “insopportabile” durante la giornata, la sera, al calar del sole ritorna abbastanza tranquillo. S. è consapevole che non deve stargli vicino… è diventato grosso, ed inizia a farle male quando ha questi scatti, non è più il litigio tra “bambini”..diventa pericoloso. Quest’ estate F. ci ha messe a dura prova, S. cercò di tenerla il più possibile impegnata fuori casa, lontana dal fratello, purtroppo F. porta una gestione di stress elevata che non è assolutamente per una bambina. Non è giusto che debba subire.
Questo è un altro aspetto della disabilità e di chi realmente la vive in casa.. ogni giorno,quotidianamente. Io purtroppo sono abituata, só cosa significa essere una bambina con una persona con difficoltà in casa… la sindrome dell’X fragile è genetica..e purtroppo sono cresciuta anche io con un X fragile in casa.
Non posso insegnare a Scilla di gestire, non è compito suo, posso solo tenerla impegnata con altro e prendersi quanto più possibile il buono di F.
Quando F.7/8 anni fa inizió con due ore di logopedia e due ore di psicomotricità a settimana, più le terapie private a casa, iniziavo a sentirmi stretta, odiavo, quella costrizione del tempo, di doverlo utilizzare, invece che per l’istruzione, lo sport, o qualcosa di ludico, per le terapie. Le odiavo, odiavo andarci, odiavo ‘idea di doverlo portare per tutta la vita. Per me iniziarono anni terribili, col sorriso, ma la verità è che si perde la propria identità, ed una volta persona, non la si ritroverà mai più, si cambia e basta.
Si diventa caregiver senza identità.
Dopo qualche anno, mi chiamarono, ad agosto, subito dopo le vacanze per aggiungermi altre due ore. Io piangevo, ero arrabbiata, altre due ore. Quindi erano 6 ore al centro, più 3 ore a casa, più la Tma, poi scuola nuoto, più S., la scuola, lo sport, più, tutto più.
Tu sempre meno e li che ti rendi conto di essere caregiver. Non puoi essere altro. Tutto in funzione del figlio con difficoltà.
La verità è che oggi è il contrario, la terapia è quel nostro porto sicuro, è quell’unico luogo in cui ti senti libero, davvero uguale agli altri, nessuno che può “giudicarti” perché li si è tutti uguali, lì è tutto normale, lì capisce anche il silenzio, ti comprende, o è talmente normale che nemmeno ci si fà caso. C’è un passaggio in noi, dall’essere una persona, a genitore, a caregiver.
Non si può essere tutti è 3, è impossibile.
Lo diventiamo, cambiamo, e basta, non possiamo e non vogliamo nemmeno tornare indietro, arriva un punto che diventa la nostra sicurezza e che non vorresti mai più lasciarla, quello che c’è dopo ha una percezione ancora più grande, la loro crescita ci fà paura, solo al caregiver. I restanti possono avere solo la percezione.
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