di Carla Forcolin (fondatrice della APS “La gabbianella”)
Oggi il Papa entrerà nel carcere femminile della Giudecca, dove “sono stata di casa” per 16 anni.
Prima perché avevo accolto in #affidamento due gemelli che avevano la madre in prigione e li portavo da lei due volte a settimana, poi perché “La Gabbianella“, di cui ero presidente, accompagnava all’asilo nido e alla scuola materna tutti i bambini che restavano con la madre “dentro”.
I miei bambini a sei anni furono portati dalla madre in Nigeria e io andai a cercarli. Li trovai così male (non li ho riconosciuti quando li ho visti!!!) che al ritorno chiesi al Tribunale per i Minorenni di parlare delle espulsioni di altri bambini dall’Italia, perché se le madri venivano espulse anche loro dovevano seguirle.
Ne nacque un tavolo interistituzionale che, grazie al grande lavoro dell’allora Garante dei diritti, Aurea Dissegna, regolamentava la vita dei figli delle detenute fino al loro pieno inserimento nella società.
Nel periodo della carcerazione della madre, per i bambini era previsto l’accompagnamento alla scuola dell’infanzia, a nostra cura, e un progetto educativo fatto da 5 soggetti (Direzione Casa di pena, direzione Uepe, Servizi Sociali, Servizi sanitari dell’ULSS, noi) che avrebbe coinvolto e sentito, passo passo, la madre del bambino. Questo non piaceva al carcere, perché avrebbe tolto alla direzione del carcere il potere assoluto sulle madri detenute, perché ciò che più conta per le stesse sono i figli e i bambini venivano trattati invece per quello che sono: soggetti non detenuti, di cui l’intera società deve occuparsi.
Per impedire alla Gabbianella di occuparsi dei bambini, come aveva fatto per 15 anni e senza finanziamenti, prima degli accordi, le educatrici del carcere ci impedirono di entrare nell’Icam dove andavamo da sempre perché non parlassimo con le madri.
Io infatti avevo avuto la colpa di dire ad una madre che stava per staccarsi dal figlio, in procinto di compiere i sei anni, che esistevano gli accordi interistituzionali.
Così ce ne andammo e nessuna delle istituzioni coinvolte negli accordi rispose alla lettera in cui spiegavo a ciascuna cos’era successo o volle intervenire.
Il bambino che compì i sei anni fu portato via dalla madre nel giorno del suo compleanno senza preavviso alcuno e posto in affidamento giudiziario. Perfino chi lo accompagnò nella nuova famiglia a lui sconosciuta non potè essere la sua abituale accompagnatrice, perché della Gabbianella.
Perché racconto questo ora?
Intanto l’ho raccontato già a suo tempo e la storia è nel libro “Uscire dal carcere a sei anni”, ma poi lo voglio raccontare perché quando leggo del Beccaria e degli abusi terribili sui minorenni lì detenuti non posso non pensare che il carcere sembra un territorio in cui lo stato non entra, dove il direttore fa il bello e il brutto tempo.
I “non sapevo” sono pressoché impossibili! I direttori (spesso direttrici) non si fanno vedere, ma determinano tutta l’atmosfera che si respira nel carcere.
Poi per fortuna i direttori cambiano e cambia anche l’aria.
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Tatiana Catallo (giovedì, 02 maggio 2024 23:18)
Questo articolo lo può capire chi come privato sociale ha lavorato nel carcere.... difficile entrare.... difficile restarci! Condivido ogni parola e so quanto è vera....col cuore pieno di tristezza!