Con il termine meccanismo di difesa ci si riferisce a un'operazione mentale che avviene
per lo più in modo inconsapevole, la cui funzione è di proteggere il sé, la propria autostima, perfino la propria integrità.
I meccanismi di difesa costituiscono l'insieme delle tecniche di cui l'io si serve per difendersi da situazioni emotive che fanno stare male, per le quali l'io pensa di soccombere per l'eccessiva ansia che provocano. Si tratta quindi di un vero e proprio sistema di lavoro, organizzato e organizzante la personalità di ciascuno. Tutti noi, anche coloro che hanno avuto le famiglie più amorose alle spalle, abbiamo attivato negli anni della prima infanzia qualche meccanismo di difesa.
Ed è ancor più necessario, se non indispensabile, alla sopravvivenza del bambino la cui situazione sembra insopportabile, è insopportabile, per l'eccessiva ansia che provoca: la negazione, la dissociazione, la proiezione, l'evitare, l'idealizzare sono tutti meccanismi che si attivano per rendere sopportabile la realtà.
Se io faccio finta che sia così (nego, mi dissocio, proietto, evito, idealizzo) mi sento più al sicuro, vivo una realtà più accettabile, ho meno ansia, il mio io rimane integro.
Quando arriva un bambino in affidamento, si porta il suo bagaglio di esperienze e di meccanismi di difesa. Non li conosce nessuno, né il servizio sociale, né l'affidatario, men che meno il bambino.
Vengono fuori piano piano, via via che il bimbo si tranquillizza all'interno di un luogo più sereno, più accogliente, più disponibile, e spesso dopo parecchio tempo, quando il bambino può iniziare a ricordare, raccontare, elaborare, tutta una serie di esperienze che ha vissuto e che ha nascosto in posti così segreti che nemmeno lui conosce, spesso con la speranza che non uscissero mai più e che quelle sensazioni provate scomparissero per sempre.
E certe paure, certe reazioni, certe stranezze, sono solo la punta di un iceberg che sta nel profondo dell'anima e che, a seconda del carattere e delle esperienze vissute, può uscire, rimanere laggiù, cancellare, o emergere, spaventare, irrompere, sconvolgere.
Tutto può essere.
Il “nostro” bambino ci ha messo alcuni anni per tranquillizzarsi, nel primo periodo era quasi.....perfetto!
Sembrava finto: ubbidiente, non piangeva mai, non manifestava né paura né disagio, era collaborativo e alle regole. Così noi lo avremmo tenuto.
Così non sarebbe tornato in comunità e nemmeno in famiglia. Queste erano le sue paure.
Quando faceva qualcosa che sapeva non essere giusto, la cancellava dalla mente, così la poteva raccontare adducendola ad un altro oppure negare essere mai stata fatta.
Ma venendo a galla i ricordi e con loro i meccanismi di difesa che li cancellavano, si è crepato quel muro di autodifesa messo su da tanto tempo e che funzionava così bene, preservava da una realtà insopportabile.
Ed ha cominciato ad uscire di tutto: paure, traumi, brutte abitudini, ricordi amari, solitudini, abbandoni, delusioni, vergogne.......una realtà che è stata per lui molto traumatica, molto spaventosa, e poi molto ben presente, è cresciuto in quella storia e nel bene e nel male ne ha imparato e assorbito sia le brutte abitudini, sia gli stratagemmi di sopravvivenza.
E così nel momento nel quale ci si sente famiglia, la relazione diventa più intima, sembra passato l'ostacolo più grande della fiducia e dell'intimità, c'è l'esplosione di un vulcano che erutta di tutto. E lo fa proprio perché lo può fare. Perchè sa che si può fidare e può vomitare tutta quell'ansia, quella rabbia, quel terrore ingabbiati nel meccanismo di difesa magari per molto tempo. E sa che ci sono delle persone che possono incassare, sopportare, comprendere tutta quella eruzione, o per lo meno ci vogliono provare.
Il “nostro” bambino è diventato un ragazzo, un bel ragazzo, tutte le nostre cure ne hanno
fatto un giovane sano, bello, pulito, educato. Ed anche consapevole dei suoi punti di forza e soprattutto dell'amore che nutriamo per lui.
Ma dentro di lui è in atto una battaglia, forse addirittura una guerra.
Se è vero che amore e dedizione possono tanto, non è vero che possono tutto.
Non cancellano le cose brutte della vita, la storia è quella, con quei genitori biologici e quei primi anni insieme.
I genitori affidatari possono dare strumenti. Strumenti per combattere i
propri fantasmi, strumenti per rieducarsi, per ri-pensarsi, per modificare meccanismi perversi che hanno attanagliato la mente ed il cuore.
Sperare di essere nati dagli affidatari e di essere sempre stati nella nuova famiglia più regolare, più calda, non annulla niente di quanto hanno passato.
C'è da fare un lungo e difficile lavoro di accettazione della propria storia e di scelta fra le cose da tenere e quelle da buttare: e quelle da buttare sono difficili da buttare, perchè sono incastrate bene nel loro io, sono state inserite i primissimi anni quando i bambini introiettano le loro basi.
Così la vera grande battaglia è loro, dei bambini/ragazzi in affidamento, è personale, è difficile, è paurosa.
Lasciare il vecchio per il nuovo. Accettare il vecchio e costruire il nuovo. Sì, ci sono due vite, un prima ed un dopo, una nella quale sei venuto al mondo ed una nella quale vuoi stare al mondo.
E non solo, dopo aver accettato la propria storia fatta di brutte esperienze e brutti
ricordi, vanno anche smantellati i meccanismi di difesa. Perchè purtroppo non se ne vanno quando si riordina la propria vita. Perchè sono rimasti attivati tanti anni, e se si prendono
delle abitudini all'inizio salvavita, poi quelle stesse abitudini diventano gabbie di cui disfarsi. E non è semplice.
Se per sopravvivere alle bugie familiari attivo il meccanismo della diffidenza, se poi
non lo smantello non riuscirò a fidarmi di nessuno. Se per difendermi dalla mancata accettazione divento assecondante, non riuscirò mai a pormi alla pari.
Quindi gli indispensabili meccanismi di difesa, che in modo istintivo si sono attivati
per l'autoconservazione, in una ritrovata situazione di equilibrio e accettazione, diventano nemici alla propria libertà di espressione, perché se io continuo a negare, dissociarmi dalla realtà,
proiettare sull'altro, evitare, idealizzare, non riesco a vivere la realtà e a vivere liberamente le mie relazioni sapendo fare discernimento tra ciò che è reale e ciò che la mia mente
produce.
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