Ci è arrivato un regalo!
una #testimonianza che racconta,senza paura, anche le ombre dell'accoglienza. E' lunga ma merita
di essere letta tutta :-)
Certe volte ci domandiamo : Se non l’avessero visto, avrebbero aspettato e lottato un anno per uno scricciolo "grande" con un ritardo mentale?
Grazie di questa testimonianza!
La nostra storia con M. inizia da lontano, col desiderio mio e di mio marito di aiutare un bambino a crescere in famiglia per il tempo necessario.
Abbiamo cominciato la nostra esperienza di affido familiare con il part time: tre fratelli con varie problematiche che la sera tornavano a casa. Molti pensano che l’affido part time sia “più
leggero”, non è così. Avere a che fare con gli adulti richiede molta preparazione e pazienza. Ti “metti un po' in casa” anche il genitore bio con tutta la complessità che ne deriva.
Dopo questa esperienza molto intensa, abbiamo pensato di dare disponibilità per un affido residenziale. Ci siamo dunque rivolti al centro affido della nostra zona. Durante i colloqui ci è
stato però comunicato che non c’erano bambini con questo tipo d’esigenza, quindi ci hanno messo in attesa.
Stavamo lì, risorsa non utilizzata.
Infatti ogni territorio ha i suoi affidatari ma i centri affidi non si scambiano dati e famiglie. Le famiglie sono “possesso” del centro affidi.
Dunque esistono bambini che hanno bisogno e famiglie formate che, spesso, non si incontrano perché divisi da una linea di demarcazione territoriale.
Ad un certo punto queste Mamme Matte (che hanno la malsana idea che le famiglie ci sono, basta cercarle, formarle, accompagnarle e fare rete. Una robetta facile, facile ) nel MARZO del 2016
ci hanno raccontato che esisteva L. , un bimbo con ritardo grave. Ci hanno detto che se ce la sentivamo, potevano accompagnarci in comunità e farci conoscere la responsabile. Se fossimo
piaciuti alla responsabile, lei stessa avrebbe preso i nostri dati e li avrebbe dati all’ assistente sociale del bambino.
Fortuna volle che quel giorno, per puro caso, abbiamo incontrato il nostro M., abbiamo visto i suoi occhi e lui, scricciolo che si muoveva nervosamente, si è appoggiato a me e da lì è entrato
in pianta stabile nel nostro cuore.
.Era il 30 MARZO 2016.
La responsabile della comunità, una persona lungimirante, pensò che conoscere il bambino nel suo ambiente, cominciare a frequentarlo come volontari potesse essere una buona cosa.
Avevamo dunque deciso di passare con i bambini della comunità il sabato pomeriggio.
Lo abbiamo potuto fare solo due volte, due sabati pomeriggio. Poi l’assistente sociale ce lo ha vietato: finché tutto l’iter non fosse finito, non potevamo vedere né M.. né gli altri bimbi
della comunità.
Le storture della privacy: la comunità è piena di volontari che vanno (giustamente) a dare una mano, ma noi no. Non potevamo.
Tra telefonate inconcludenti e problemi di ferie delle assistenti sociali siamo stati convocati in tribunale il 16 SETTEMBRE del 2016 (sei mesi dopo, considerando che noi eravamo GIA’ FORMATI
sembra un’assurdità, un tempo infinito).
Il colloquio in tribunale era andato bene, i giudici avevano espresso parere favorevole, tutto era a posto. Dunque potevamo rivedere M.? Ovviamente NO. Fino al decreto NIENTE.
Di nuovo attesa.
Il 17 GENNAIO 2017 , finalmente, è arrivato il decreto.
Un pomeriggio, un sabato pomeriggio, durante l’avvicinamento ci ha chiesto “ Quando posso venire a casa con voi?”
E’ in ritardo il mio bambino ma non “grullo”.
La responsabile anche in quell’occasione gli ha detto di avere pazienza, tanta pazienza, bisognava aspettare IL FOGLIO.
Da qui il tira e molla dei servizi, a chi tocca seguire “sto bambino”? Chi deve decidere se è finalmente arrivato il momento di trasferirsi a casa definitivamente?
Nonostante le crisi del bimbo che aveva paura di essere nuovamente lasciato , abbiamo dovuto aspettare il 10 MARZO perché potesse venire a vivere con noi. UN ANNO DOPO. E non certo perché la
responsabile della comunità faceva ostruzionismo. M. ha trascorso quasi un anno in più in comunità a causa di non sappiamo cosa.
Le cose con M. sono andate bene fin da subito, i problemi ci vengono dai servizi sociali.
Da aprile ad oggi non siamo più riusciti a metterci in contatto con i servizi sociali di M.
Ad oggi M non ha un tutore.
Un anno perso in lungaggini burocratiche non ci sembra sia il bene dei bambini.
Onestamente più che della “burocrazia”, questa entità astratta, penso che la colpa sia di coloro che lavorano in questo ambito. Quante volte mi sono sentita dire dai servizi: “Ma il bimbo sta
bene in comunità! Quindi perché tutta questa fretta?”
Queste parole mi graffiano ancora il cuore. Certo, non era in pericolo di vita e aveva da mangiare e da vestire ma lui voleva venire con noi, a casa.
Perchè aspettare un anno?
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