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le beghe dell'art 44:Adozione in casi particolari da parte di coppie omosessuali – perplessità e contraddizioni

di Emilia Russo

 

L’adozione in casi particolari, disciplinata dall’art. 44 della legge n. 184/1983, rappresenta uno strumento di tutela flessibile pensato per garantire al minore la stabilità affettiva anche al di fuori dei percorsi di adozione legittimante.

 

Tuttavia, quando si tratta di coppie omosessuali, la disciplina incontra limiti e contraddizioni che la giurisprudenza ha cercato di colmare solo in parte.

In via di prassi, infatti, l’adozione ex art. 44 viene riconosciuta a uno solo dei due partner, anche nei casi in cui entrambi risultino affidatari del minore. Ciò deriva dal fatto che la norma, strutturata per situazioni individuali e residuali, non contempla espressamente la pluralità di adottanti al di fuori del matrimonio o dell’unione civile eterosessuale.

Questa impostazione crea una disparità evidente tra la genitorialità di fatto, condivisa quotidianamente da entrambi i componenti della coppia, e la genitorialità giuridicamente riconosciuta, che resta in capo a uno solo di essi. Il secondo partner, pur svolgendo un ruolo genitoriale a tutti gli effetti, non acquisisce status legale né diritti-doveri formali verso il minore (come mantenimento, rappresentanza, o diritti successori).

Le perplessità applicative aumentano nei casi in cui la coppia viva insieme al minore da anni, in regime di affido o di accoglienza stabile: il legame affettivo si consolida su entrambi i fronti, ma il diritto continua a riconoscere una sola figura genitoriale.

 

Tale situazione può creare criticità in caso di separazione, decesso o decisioni sanitarie e scolastiche, poiché l’altro genitore “sociale” resta privo di poteri decisionali.

Alcuni Tribunali per i Minorenni e Corti d’Appello hanno tentato un’interpretazione evolutiva, riconoscendo il valore affettivo e relazionale della “doppia genitorialità di fatto”, ma si tratta ancora di orientamenti sporadici e non uniformi. La Corte di Cassazione, pur riconoscendo il superiore interesse del minore a vedere tutelati entrambi i legami affettivi, continua a ribadire che l’art. 44 non può essere utilizzato per introdurre surrettiziamente una adozione congiunta da parte di coppie non sposate o dello stesso sesso.

Il risultato è una zona grigia in cui la prassi si adatta, spesso in modo creativo, per salvaguardare il minore, ma senza una base normativa chiara. L’adozione da parte di uno solo dei due partner, dunque, rimane l’unica via percorribile — pur con tutte le sue contraddizioni e disuguaglianze rispetto alla realtà familiare vissuta.

In attesa di un intervento legislativo o di un pronunciamento univoco della Corte Costituzionale, la giurisprudenza continua a muoversi su un terreno di bilanciamento tra diritto e affettività, cercando di garantire, laddove possibile, la priorità dell’interesse del minore rispetto agli schemi formali della genitorialità.

 

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