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Quando si parla di adozione, la legge di riferimento è la n. 183 del 1984, così come modificata dalla legge del 2001 n.149: “il diritto del minore ad una famiglia”. Già dal titolo si comprende qual è l’unico faro che deve guidare questa disciplina : garantire una famiglia al minore. La stessa legge, prima di parlare di adozione, all’art. 1 afferma che il minore ha il diritto di crescere in primo luogo nella propria famiglia e che, solo quando questa non è più in grado di rispondere ai compiti di educazione ed istruzione, si può intervenire con altre modalità: fra queste vi è anche l’adozione.
Nel nostro ordinamento le forme di adozione previste sono essenzialmente due:
l’adozione “piena” e l’adozione “in casi particolari”; ad oggi, queste rimangono le sole tipologie espressamente citate nella legge, ma la giurisprudenza con le diverse sentenze ha ampliato la disciplina e ad oggi si parla anche di “adozione piena aperta” ed “adozione mite”. (anche se questa denominazione non è giuridicamente disciplinata).
Partiamo dal principio
Adozione piena
Con il termine adozione “piena” si fa riferimento all’adozione, a suo tempo definita anche legittimante(1), che inizia con una dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, prosegue con un affidamento preadottivo e termina con la sentenza di adozione. L’art. 27 della legge sopra citata precisa che “Per l’effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. […] Con l'adozione cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali.”
I requisiti necessari per questa forma di adozione, in breve, sono:
- che sia anzitutto pronunciata la sentenza con cui viene dichiarato “ lo stato di adottabilità dal Tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio”( art. 8)
che i coniugi che si sono dichiarati disponibili all’adozione abbiano:
-una differenza di età minima di 18 anni e massima di 45 con il minore (2);
- siano sposati da almeno 3 anni o che, nel caso in cui il matrimonio non abbia a ancora raggiunto i 3 anni di durata, abbiano almeno 3 anni di convivenza stabile.
- siano ritenuti “affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere “ i minori che intendono adottare”:
Nel caso delle adozioni internazionali, il Tribunale emana un decreto di idoneità (3) che consente ai coniugi di continuare nel loro percorso adottivo, conferendo entro un anno dal ricevimento del provvedimento di idoneità - ad un Ente autorizzato dalla Commissione Adozioni Internazionali ( CAI) da loro scelto, l’incarico di curare la procedura presso le competenti Autorità del Paese di provenienza del minore.
Il provvedimento ha efficacia per tutta la durata della procedura. Eventuali decreti di inidoneità possono essere reclamabili dagli interessati presso la Corte di Appello.
La dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale va presentata al Tribunale per i Minorenni di residenza della coppia, per ‘adozione nazionale invece può essere presentata a più Tribunali per i Minorenni “ purché in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi”.
Nel caso di adozione nazionale, il Tribunale NON emana un decreto di idoneità, la domanda scade al termine dei 3 anni dalla sua presentazione e può essere rinnovata.
Con l’adozione “cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine” ( art. 27, comma 3), tuttavia, la giurisprudenza degli ultimi anni, ha interpretato in maniera estensiva questo comma, come vedremo in seguito.
Una ulteriore precisazione è necessaria.
In base alle modifiche apportate alla l. n. 184/1983 con la l. n. 173 del 2015, che ha stabilito all’art.5-bis. quanto segue: “ qualora durante un prolungato periodo di affidamento, il minore affidato sia dichiarato adottabile (……,) e qualora, sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare., il tribunale per i minorenni, nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria”(4).
Pertanto è possibile l’adozione “piena”, come ribadito nella recente sentenza n.183/2023 della Corte Costituzionale che ha precisato al riguardo: ”Viene così tutelata la continuità degli affetti e viene ulteriormente smentito il paradigma della impenetrabile segretezza tra nucleo parentale d’origine e famiglia adottiva”.
Adozione aperta/adozione piena aperta
Il termine adozione aperta” ( riferita a quella “piena”) è utilizzato nella sentenza n.183 del 2023 della Corte costituzionale, anche se è bene ricordare che alcuni Tribunali già a partire dagli anni ’90 avevano emanato sentenze in tal senso; l’adozione aperta si riferisce a quei casi, del tutto eccezionali e che devono essere valutati caso per caso, dove il giudice può, prevedere una continuità di rapporti relazionali fra minore e uno o più determinati componenti della famiglia di origine.
Approfondiamo questo importante punto.
La Corte Costituzionale con una sentenza di rigetto (5), dopo un lungo iter burocratico fra Corte d’Appello e Corte di cassazione, ha interpretato in maniera estensiva l’art. 27 comma 3 della legge sull’adozione, affermando che “La cessazione dei rapporti con la famiglia biologica attiene di necessità e inderogabilmente al piano delle relazioni giuridico-formali. Quanto, invece, alla interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d’origine realizzi l’interesse del minore. Simile presunzione non esclude, pertanto, che, sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità, il giudice possa accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da poter cagionare allo stesso un pregiudizio”.
Specifichiamo che il mantenimento dei rapporti fa riferimento esclusivamente ai rapporti relazionali, e non a quelli giuridici, che invece vengono definitivamente interrotti.
La Corte non esplicita in che modalità e come possano essere mantenuti tali rapporti: il compito è delegato ai servizi sociali ed i gradi di apertura del contatto possono essere diversi: visite in luogo neutro, telefonate, scambi di lettere o altro.
Richiamiamo anche il passaggio della sentenza in cui si afferma che il giudice " nel rispetto della responsabilità genitoriale, che compete agli adottanti in ragione del vincolo di filiazione derivante dalla sentenza di adozione (art. 27, primo comma), può affidare ai servizi sociali l’organizzazione degli incontri, ma stabilendo che siano adeguatamente ponderate le esigenze fatte valere dai genitori adottivi nell’interesse del minore. In aggiunta, il giudice è tenuto a preservare le istanze di riservatezza, che emergono in primis dall’art. 28 della legge n. 184 del 1983 e che sono, in generale, riferibili al minore, alla famiglia adottiva e al componente della famiglia d’origine (e, se si tratta di un minore, anche a chi lo rappresenta): a tal fine può prevedere che gli incontri si svolgano in un luogo protetto e con l’assistenza dei servizi sociali”. Va tenuta ben presente la precisazione “ è possibile adottare un’interpretazione adeguatrice alla Costituzione che allontani dall’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 l’immagine di una presunzione assoluta e che, in particolare, escluda un divieto per il giudice di ravvisare un preminente interesse del minore a mantenere talune positive relazioni socio-affettive con componenti della famiglia di origine. La cessazione dei rapporti con la famiglia biologica attiene di necessità e inderogabilmente al piano delle relazioni giuridico-formali”. Quanto, invece, alla interruzione dei rapporti di natura socio-affettiva, la norma racchiude una presunzione solo iuris tantum che il distacco di fatto dalla famiglia d’origine realizzi l’interesse del minore. Simile presunzione non esclude, pertanto, che, sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità, il giudice possa accertare che la prosecuzione di significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine realizzi il migliore interesse del minore e, per converso, la loro interruzione sia tale da poter cagionare allo stesso un pregiudizio".
Adozione in casi particolari
L’adozione in casi particolari è così denominata poiché fa riferimento a situazioni specifiche e diverse dall’adozione “piena”, che quindi comportano effetti e richiedono requisiti differenti e può avvenire , secondo quanto previsto dall’art. 44 comma 1 della l. n. 184/1983 e s.m.:
- da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
- dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge
- quando il minore sia portatore di handicap e sia orfano di madre e padre
- quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Con “affidamento preadottivo” si fa riferimento ai minori dichiarati adottabili per i quali non è stato possibile procedere all’ affidamento preadottivo ossia a una coppia avente i requisiti richiesti per l’adozione piena L’affidamento preadottivo e il periodo di tempo (generalmente un anno) che deve passare prima di arrivare alla sentenza di adozione .
I requisiti, quindi, in questo caso sono diversi:
● gli adottanti possono essere:
-coppia sposata senza vincoli temporali rispetto alla durata del matrimonio -persona singola
-conviventi
-senza limiti di differenza di età massima, l’unico requisito è di avere almeno 18 anni di differenza, tranne che per il caso della lettera b) dove non vi è neanche il limite minimo
È richiesto il consenso
- degli adottanti
- del minore che ha compiuto gli anni 14
del rappresentante legale se il minore ha meno di 14 anni
Si richiede l’assenso
- dei genitori: in caso di mancato assenso il giudice , “ove ritenga il rifiuto ingiustificato e contrario all’interesse dell’adottando” può comunque decidere di procedere con la pronuncia dell’adozione ( si procede solitamente alla pronuncia della decadenza della responsabilità genitoriale , alla conseguente nomina del tutore, che presta il suo consenso)
- del coniuge della persona che adotta
Effetti
- non si sciolgono i legami con la famiglia di origine, quindi il minore conserva diritti e doveri nei loro confronti: nel caso in cui i genitori siano stati privati della responsabilità genitoriali, però, cadono i doveri di mantenimento nei loro confronti da parte dell’adottato; non è chiaro se in questo caso permangano i doveri verso altri membri della famiglia di origine.
- il minore antepone il cognome della famiglia adottiva al proprio: se il minore non è stato riconosciuto alla nascita da entrambi i genitori, il minore assume solo il cognome della famiglia adottiva
- l’adottante non ha diritti successori nei confronti del minore adottato
L’ADOZIONE E’ REVOCABILE per gravissimi motivi: sia su richiesta dell’adottante sia su richiesta dell’adottato.
Adozione cosiddetta “mite”(6)
Il termine adozione “mite” nasce nel 2003 quando il Tribunale di Bari con l’allora Presidente Franco Occhiogrosso interpretò in maniera del tutto nuova l’articolo 44 lettera d) della legge sull’adozione (n.184 del 1983).
La lettera d) dell’articolo, come già precisato, prevede l’adozione in casi particolari “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”., senza ulteriori specificazioni ed è stata utilizzata dal Tribunale per i minorenni di Bari nei confronti dei minori per cui non riteneva fosse possibile procedere alla dichiarazione di adottabilità, ma che si trovavano in una situazione che questo Tribunale considerava di “ semiabbandono permanente” in quanto i genitori non erano in grado di esercitare le funzioni genitoriali in modo idoneo ma avevano con loro un rapporto che andava tutelato.
La differenza con l’adozione “piena” sta quindi nei presupposti: qui non vi è uno stato di abbandono perché i genitori sono presenti, anche se parzialmente inidonei.
A parere dell’Anfaa l’adozione “mite” dilata indebitamente il campo di applicazione di una norma che è stata introdotta nel nostro ordinamento come fattispecie residuale cui far ricorso per dare soluzione a quei casi eccezionali in cui risulti impossibile, di fatto, dare in adozione piena un minore di cui sia stata previamente accertata la situazione di adottabilità. Infatti l’adozione “mite” viene disposta senza essere preceduta dallo svolgimento della procedura - garantista dei diritti di tutte le parti in causa - stabilita dagli artt. 8 e segg. della legge 184/1983 e s.m. e con provvedimento emesso de plano, sulla base di una presunta situazione di “semiabbandono” che non essendo contemplata da alcuna definizione legislativa si presta alle più svariate applicazioni discrezionali. Né, per conferire legittimità a una simile scelta, è certamente sufficiente stimolare e ricevere il consenso di tutte le persone che vi sono coinvolte in quanto il mero consenso non può certamente equivalere alla rinuncia a diritti indisponibili quali sono quelli posti dall’ordinamento a tutela dell’infanzia, e anzi esso può venire usato come mezzo di scambio per consentire a famiglie gravemente inadempienti ai propri doveri genitoriali di conservare dei contatti, magari pregiudizievoli ai fini educativi, con il minore, creando le premesse di deleteri conflitti all’interno del rapporto adottivo ne d’altra parte può essere accettata una procedura che privi i genitori del minore delle garanzie del giusto processo previste dalla nostra legge per la dichiarazione di adottabitlità.
Gli effetti di tale forma di adozione:
- Il minore diventa figlio della famiglia adottiva pari ai figli biologici
- Il minore NON rompe i rapporti giuridici con la famiglia di origine
- Il minore NON rompe i rapporti relazionali con la famiglia d’origine
In conclusione (slide dell’Avvocata Martina Mattalia)
Nota Bene: Gli articoli presenti nella sezione "Chicche Giuridiche" hanno lo scopo di fornire informazioni generali e orientative sui temi di affido e adozione, senza rappresentare una consulenza legale personalizzata. Per domande specifiche o approfondimenti relativi alla vostra situazione, vi invitiamo a contattare direttamente i nostri esperti.
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Note
1 L’aggettivo legittimante è stato superato con l’entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012 n.219 “Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali” che ha stabilito che “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”.
2 sono comunque previste delle eccezion ai limiti di età che possono essere derogati “qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.” (art. 6, comma 5) ovvero “quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli ((anche)) adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l'adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato” (art. 6, comma 6)
3 Impugnabile davanti alla Corte di Appello, sez. per i minorenni
4 Ovviamente, in questi casi, la domanda di adozione è nominativa
5 Cioè sono state rigettate le tre eccezioni di costituzionalità dell’art. 27 che erano state sollevate dalla Corte di Cassazione.
6 Sia il termine” mite” che quello di “semiabbandono permanente” non esistono nella attuale legislazione, ma sono stati utilizzati in sentenze della magistratura italiana e dalla CEDU
(Commissione Europea per i diritti dell’uomo)
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