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Il SINE DIE ovvero L'APPARENTE TUTELA DEL GENITORE FRAGILE NEL COLLOCAMENTO DEI FIGLI IN FINE AFFIDAMENTO MAI

Doverosa premessa.

di

Emilia Russo

 

Nel delicato contesto del diritto minorile, è essenziale discernere con chiarezza le sfere giuridiche, psicologiche e pedagogiche che circondano la figura del minore. Il diritto minorile, la psicologia e la pedagogia costituiscono ambiti distinti, ciascuno con il proprio ruolo e contributo specifico, seppur tutte finalizzate a raggiungere "il supremo interesse del minore".

Quando il giudice si trova ad affrontare questioni legate ai minori, è fondamentale che adotti un approccio equilibrato, ricordando che il suo compito principale è quello di applicare il diritto, mettendo al centro della sua decisione il benessere del minore. In questo contesto, è imperativo che il giudice si concentri sul diritto del minore stesso, preservando l'interesse e la tutela della giovane parte coinvolta, senza permettere che le considerazioni relative agli adulti, che siano essi affidatari o biologici, prevalgano sul principio fondamentale di salvaguardare i diritti e il benessere del minore.

 

 

IL SINE DIE ovvero L'APPARENTE TUTELA DEL GENITORE FRAGILE NEL COLLOCAMENTO DEI FIGLI IN FINE AFFIDAMENTO MAI

“è mai successo che qualcuno uscisse dal semi abbandono permanente?”

di

avv. Lucia Colangelo

Le riflessioni che seguono assumono carattere di critica alla creazione giurisprudenziale degli istituti, del tutto estranei alla L. n. 184/1983 ad oggi vigente, di affidamento sine die e adozione mite.

L'adozione legittimante aperta merita una viva critica dedicata.

Il presupposto necessario è la sufficienza dell'art. 44 lettera d) della L. n. 184/1983 a tutelare il minore esposto ad una condizione di c.d. semiabbandono ossia ad una incuria o discuria che tuttavia non inficia il rapporto affettivo valido tra il minore e il genitore disfunzionale.

La problematica nasce dall'impossibilità di rientro in famiglia del minore in quanto la stessa non riesce a garantirne lo sviluppo e l'educazione, nonostante gli interventi di aiuto e sostegno proposti dagli enti locali, dallo Stato o dalle regioni; dunque, alla base, vi è un fallimento del progetto di recupero delle competenze genitoriali non già per mancanza di interventi mirati ma per effettiva impossibilità di ripristino, acquisizione o mantenimento di una condizione compatibile con lo svolgimento del ruolo e l'esercizio della responsabilità genitoriale.

I minori che si trovano a subire il c.d. semiabbandono permanente vivono, nell'attesa che venga decretata la loro adottabilità o non adottabilità, in un limbo perfettamente pensabile come “la valle d’abisso dolorosa che ’ntrono accoglie d’infiniti guai” di dantesca memoria. 

 Affrontare un tema così delicato (il reale miglior interesse del minore dichiarato in semiabbandono permanente nella gestione dei suoi vincoli di filiazione e conseguente parentela e, dunque, il complesso dei diritti, obblighi e impedimenti) richiede un ambiente asettico, sterilizzato da cointeressenze emotive.

Solo ritornando alla centralità del minore che necessita di tutela nel procedimento che lo riguarda si potrà tornare ad avere una visione globale delle conseguenze giuridiche della estinzione o creazione di vincoli derivanti dall'accertamento dello stato di filiazione, abbandonando il sentiero della giurisprudenza sentimentale che pretende di creare rapporti di affettività tra la parentela che non ha potuto, voluto o saputo assumere la responsabilità genitoriale (affidamento intrafamiliare e adozione civile ex art. 44 lettera d) della L. n. 184/1983) e affidatario e/o adottante ex art. 44 lettera d) della L. n. 184/1983.

Il minore in semiabbandono permanente, infatti, è una persona che ha capacità giuridica ma non ha ancora capacità di agire; è, dunque, una persona che si presenta, in ogni procedimento che lo riguarda, come già titolare di diritti e doveri e non può esserne privato né menomato nell'esercizio per la volontà adulta di occuparsi giudizialmente di stabilire un equilibrio nei rapporti affettivi (mite e aperta sono termini legati ad una concezione sentimentalistica degli istituti di adozione dove adulti si contendono l'amore del minore come se fosse sufficiente un aggettivo per magicamente ricomporre la frattura del rapporto con la famiglia di origine).

Spesso si obietta che l'aggettivazione “mite” resta necessaria per salvaguardare il rapporto significativo genitore-bambino laddove l'adozione ex art. 44 lettera d) della L. n. 184/1983 interviene su nuclei in cui la fragilità del genitore biologico è legata a malattia, delinquenza abituale, disagio sociale non recuperabile e la presentazione della adozione come soluzione che dia “coscienza di non perdere i rapporti col minore” facilita l'accettazione della perdita della responsabilità genitoriale. 

E' un modo come un altro di bypassare il problema negandolo, cercando di adattare, attraverso  integrazione interpretativa, istituti ordinari nella pratica americana alla realtà italiana in cui queste forme adottive sono estranee al sistema (che si compone di un articolato meccanismo di diritto familiare e successorio in cui istituti estranei alterano il funzionamento).

Per di più, saltando spesso la lucida sequenza cronologica stabilita nella legge 184/1983, la necessità di ricorrere alla finzione della mite è la diretta conseguenza della creazione del sine die, anche esso del tutto sconosciuto al sistema (che, per la verità, salvo casi eccezionali di abuso o violenza tra fratelli, non conosce nemmeno  la separazione delle fratrie...). 

Il sine die trova ragione in un rimando del momento di verifica del recupero delle capacità genitoriali laddove i minori, non avendo trovato sostegno in un affidamento intrafamiliare (tra i parenti entro il sesto grado), sono stati collocati in istituti o in affidamento extrafamiliare presso famiglie formate per l'accoglienza e pronte a partecipare al progetto di recupero.

Il momento di verifica del recupero delle capacità genitoriali è fissato a due anni dall'intervento pubblico; il progetto di recupero, laddove virtuoso e in prossimità di un esito positivo, può essere prorogato.

Questo nella teoria.

Nella pratica ci sono situazioni in cui le possibilità di recupero delle capacità genitoriali sono pressocchè nulle e il minore è stato collocato in affidamento extrafamiliare per (accertata) impossibilità di affidamento intrafamiliare; il momento di verifica, in qualche modo, diventa momento di proroga e l'affido temporaneo (2 anni) diventa affido sine die senza che nessuno assuma formalmente la responsabilità genitoriale attraverso l'istituto di protezione di cui pure il sistema dispone: adozione ex art. 44, lettera d), L. n. 184/1983.

Ed invece un minore, che avrebbe diritto a crescere nella propria famiglia (di qui la preferenza dell'affido intrafamiliare e la possibilità di adozione ex art. 44 anche per parenti entro il sesto grado) si trova in affido sine die, spesso solo “collocato” presso una famiglia che presta servizio di affido, con un tutore che esercita la responsabilità genitoriale, con i servizi sociali che si occupano de “il progetto”, con ogni tanto un curatore, con mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine

che altro non sono che incontri programmati con genitori e/o fratelli (talvolta collocati in altre famiglie) e, se si è proprio tanto fortunati, con qualche nonno o qualche zio (presso cui, però, l'affido intrafamiliare non è stato possibile)...

Però va bene così, anche se qualcuno dopo un po', per sano e fisiologico egoismo, si stanca ma di “adozione ex art. 44 lettera d non se ne parla proprio”, però “è mio figlio”, e “il tutore dove è?”, e “ma se parlo me lo tolgono” però non voglio adottarlo in mite, e “ma non è giusto per l'eredità”... “e ma a 18 anni poi che succede?”, “il prosieguo amministrativo?”....

Ecco a voi, signori, l'AFFIDAMENTO SENZA FINE MAI (o affidamento ostativo) dove l'unica gioia (e nemmeno sempre) è che al 18esimo, finalmente, si acquista la capacità di agire.

 

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Commenti: 2
  • #1

    Giuliana Aquilanti (giovedì, 01 febbraio 2024 16:47)

    Si riuscirà mai ad andare oltre le parti e lavorare insieme per garantire ad ogni bambino e ragazzo il diritto a crescere in una famiglia "sana" capace di accompagnarlo nella crescita verso l'età adulta? Mi pare che questo debba essere l'obiettivo condiviso.

  • #2

    Antonietta Varricchio (mercoledì, 07 febbraio 2024 08:40)

    Ad appesantire la situazione c'è la totale non conoscenza della realtà da parte delle istituzioni, che si ostinano a voler vendere fumo formulando ipotesi e soluzioni non attuabili nella realtà. Siamo in una nazione dove vige un solo ordinamento giuridico che, per ragioni oscure , viene attuato in mille modi diversi da Aosta a Lampedusa. Il Sine die non esiste nel codice, nessuna pronuncia lo contempla ma si verifica molto più spesso di quello che pensiamo,con buona pace di
    giudici e istituzioni politiche (che non sono esenti da responsabilità). Si sarà affermato per usucapione...