
Non è colpa di nessuno eppure i danni sul minore non sono quantificabili.
di Emilia Russo
Nel sistema dell’accoglienza eterofamiliare, la figura dell’affidatario rappresenta un punto di riferimento fondamentale per il minore fuori dalla famiglia d’origine. Tuttavia, quando viene meno la presenza dell’affidatario — per morte, malattia o altre circostanze gravi — emergono con forza le fragilità strutturali e normative dell’istituto dell’affido, in particolare nella sua forma “a tempo indeterminato”, comunemente definito sine die.
L’affido familiare, come previsto dalla Legge 184/1983, è uno strumento di protezione temporaneo, finalizzato al rientro del minore nella propria famiglia d’origine o, nei casi in cui ciò non sia possibile, a individuare una soluzione definitiva che garantisca stabilità e continuità affettiva. Tuttavia, nella prassi, si assiste sempre più spesso a situazioni in cui l’affido si protrae per molti anni senza una reale progettualità evolutiva. In questi casi, la mancanza di un termine specifico e la mancata trasformazione dell’affido in adozione o altra forma di tutela definitiva rendono il minore vulnerabile in caso di eventi imprevisti.
Nel momento in cui l’affidatario viene a mancare — per morte, malattia grave o altre condizioni che impediscano l’esercizio della funzione genitoriale — il minore non è tutelato da alcun meccanismo automatico. In assenza di un secondo affidatario formalmente nominato, di una adozione, o di una rete familiare con responsabilità giuridica, il legame si estingue sul piano formale e, con esso, anche ogni possibilità di continuità affettiva garantita per legge.
Il risultato può essere, il rientro del minore in comunità, indipendentemente dall’età o dal percorso educativo e affettivo già compiuto. Un evento che rappresenta una frattura violenta, soprattutto nei casi in cui l’affido è durato molti anni e ha generato un attaccamento profondo e stabile.
A ciò si aggiunge il fatto che l’affidatario non ha poteri né doveri assimilabili a quelli del genitore adottivo: non c’è diritto all’eredità per il minore, né esiste per lo Stato l’obbligo di garantire continuità nel legame affettivo attraverso forme giuridiche successive. L’affido non produce, insomma, né vincoli patrimoniali né doveri postumi.
Il minore, quindi, può ritrovarsi improvvisamente privo di riferimenti affettivi e giuridici, escluso da ogni forma di continuità, senza una rete strutturata, senza diritti successori, senza tutela.
La morte di chi si prende cura è un lutto che va oltre il dolore personale.
La domanda che ci poniamo è: come può un sistema tutelare davvero un minore in affido sine die quando accadono eventi estremi come la morte dell’affidatario?
La risposta, purtroppo, è che nella maggior parte dei casi non può. O meglio: non è preparato a farlo. E non per mancanza di volontà degli operatori o dei servizi, che spesso fanno il possibile – e anche l’impossibile – per ridurre l’impatto di eventi così traumatici. Ma per un’impostazione normativa e organizzativa che non ha ancora pienamente riconosciuto l’affido sine die come un vero e proprio percorso di lungo periodo, meritevole di tutele strutturate e giuridicamente robuste.
Nel nostro ordinamento, l’affido familiare resta formalmente una misura “a termine”, anche se nella prassi può durare per sempre. L’affido sine die è una realtà largamente diffusa ma priva di un inquadramento normativo specifico. Viene adottato spesso in situazioni in cui non si vuole o non si può procedere all’adozione (ad esempio per l’opposizione dei genitori biologici), ma si riconosce che il bambino o l’adolescente ha trovato un equilibrio affettivo stabile.
Il risultato è che, alla morte dell’affidatario, il progetto affidatario si estingue insieme alla persona, lasciando il minore in una condizione di scopertura e vulnerabilità.
Serve allora una riflessione seria, di tutti, servono tavoli di lavoro interistituzionali.
Ogni volta che un minore in affido viene riportato in comunità per l’interruzione forzata di un progetto, il sistema deve interrogarsi: cosa non ha funzionato? Cosa poteva essere previsto? Come si può evitare che accada di nuovo?
Perché dietro ogni minore che torna in comunità c’è un mondo che si è sgretolato. E non basta pensare che “almeno è protetto”. La protezione, senza relazione, è solo contenimento. La vera tutela, invece, passa per la continuità degli affetti, la stabilità dei legami, la presenza costante di qualcuno che dica: “Io ci sono. Anche se cambia tutto, ci sono ancora.”
E quando questa voce viene a mancare, è compito nostro – come sistema, come professionisti, come comunità – trovare il modo di farla risuonare ancora.
L’adozione in casi particolari: una risposta possibile, prevista e spesso dimenticata
L’articolo 44 della Legge 184/1983 apre uno spazio prezioso, spesso poco utilizzato, per tutelare situazioni come quella appena descritta. Prevede infatti che l’adozione sia possibile, in casi particolari, anche al di fuori delle regole ordinarie dell’adozione legittimante. E tra questi casi, c’è proprio quello in cui il minore è già legato da un rapporto stabile e duraturo con la persona che lo ha in affidamento (comma 1, lettera d).
Questo strumento consente, se attivato per tempo e in modo consapevole, di stabilizzare giuridicamente un legame affettivo già esistente. Non si tratta solo di “formalizzare” un rapporto, ma di garantire al minore una tutela concreta e duratura nel tempo. L’adozione in casi particolari non spezza i legami con la famiglia d’origine, ma rafforza quelli con chi si prende cura ogni giorno del minore. E può evitare che la morte dell’affidatario si trasformino in un nuovo trauma e in una nuova interruzione.
Dov’è la tutela quando muore un affidatario sine die?
Dovremmo chiederci cosa avremmo potuto fare prima.
Il sistema di tutela minorile dovrebbe interrogarsi profondamente, dovrebbe essere pronto a tutelare anche l’impensabile. Perché i bambini e i ragazzi, soprattutto quelli che hanno già vissuto l’abbandono, non possono permettersi di perdere ancora.
E noi adulti – operatori, giudici, istituzioni, associazioni – non possiamo più permetterci di rispondere con il silenzio.
Non basta accogliere, bisogna anche proteggere
La morte dell’affidatario e la mancanza di tutela del minore “dopo” è un fallimento del sistema ma è anche una chiamata all’azione.
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Per riconoscere il valore giuridico dell’affido “sine die”, evitando che resti una soluzione informale e instabile.
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Per utilizzare con più coraggio e frequenza l’art. 44, laddove ci siano i presupposti affettivi, evitando il rischio che la morte dell’adulto comporti la cancellazione di un legame.
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Per riconoscere e valorizzare tutte le famiglie comprese quelle composte da coppie omosessuali, che spesso sono pronte ad accogliere proprio quei minori che tutti faticano ad accompagnare.
Ogni bambino ha diritto a una casa. Ma ancor di più, ha diritto a non perderla un’altra volta.
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M’aMa – Dalla Parte dei Bambini garantisce un servizio completo di supporto e accompagnamento per le famiglie che intendono intraprendere un ricorso ai sensi dell’art. 44 della Legge 184/1983, nell’ambito dell’affido familiare. Particolare attenzione è riservata ai casi più complessi e delicati, come quelli che coinvolgono persone single e coppie omosessuali affidatarie, seguite dal progetto AFFIDIamoci.
Per info scrivere a: mamadallapartedeibambini@gmail.com
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