Caro giudice, ora mi leggi?


Ambasciator non porta pena” (le MammeMatte piccioni viaggiatori di storie inascoltate, felici e meno felici).

 

M’aMa-Dalla Parte dei Bambini dopo aver appurato la veridicità della fonte, si impegna a recapitare il messaggio ricevuto all’indirizzo email mamadallapartedeibambini@gmail.com ai Tribunali per i Minorenni e ai Servizi sociali di tutto il territorio nazionale e, per conoscenza, alle altre realtà associative.

 

L’anonimato della fonte è mantenuto solo per garantire la privacy del minore.

La Rubrica raccoglie “posta mai recapitata”, ovvero tutto ciò che singoli genitori affidatari e/o adottivi non hanno avuto occasione di dire al proprio Giudice di riferimento. 



Errore di forma. Si torna in COMUNITA'!

Torna #carogiudice ora mi leggi?

Riceviamo e pubblichiamo quello che ci ha scritto un professionista che lavora con i minori e per i minori da tutta una vita.

Ambasciator non porta pena...


La convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza sancisce il principio del supremo interesse del minore, ovvero dispone che in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblico privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del minore deve essere prevalente.

Sin qui tutto bene, proclamare i diritti è molto facile, mentre applicarli è difficilissimo.

Le decisioni di un giudice, di un servizio sociale, di un insegnante, di un adulto non possono ripercuotersi (negativamente) sul benessere del bambino.

Tale diritto dovrebbe essere rispettato anche dallo stato,che "NON PUÒ " prendere decisioni che POSSANO nuocere al bambino.

Può un minore stare 5 anni in comunità, incontrare la famiglia affidataria, procedere con l'avvicinamento, finalmente abbinamento e s a casa.

 

CASA dove il bimbo può avere i suoi spazi, dove può provare ad essere quello che è , dove ha i suoi libri i suoi colori i suoi compagni e( perché no?) una famiglia dopo 5 anni di comunità (che sia per poco).

 

E poi, ecco che arriva una nuova decisione, per un vizio di forma si torna in comunità.

Ho letto con i miei occhi un documento dove c'era scritto che un eventuale legame dek minore con la famiglia affidataria avrebbe nuociuto alla ricostruzione del rapporto con i genitori biologici (dopo 5 anni di comunità e mille prove).

Ma state tranquilli, stai tranquillo piccolo tra qualche giorno risolviamo questo "piccolissimo disguido" e torni A CASA.

Quale non  è dato saperlo.

 

L'interesse supremo del minore, solo uno slogan?

Qual è il vero interesse del minore?

 

 

 

#mammematte #insiemeèmegliodasolinonsipuò


C'è qualcuno che mi coccola? No? Allora smetto di piangere.


Nelle camere, finalmente, si è fatto silenzio.

Raggiungo il salotto, mi sbraco sul divano e accendo il telefono. Voglio liberare la mente e disintossicarmi dallo stress accumulato durante il giorno. Un video, poi un altro. Vago su YouTube senza una meta precisa. Inaspettatamente mi compare davanti qualcosa.

Sono immagini degli anni '60. È uno studio che vuole mostrare gli effetti della deprivazione affettiva subita nei primi anni di vita nei bambini.

Touché.

L'argomento mi sta molto a cuore e resto incollata con occhi e anima mentre scorrono le sequenze sottotitolate in inglese.

I bambini vengono mostrati senza filtri: di ciascuno si vede il volto, si coglie la sofferenza. Possibile, mi chiedo? Ok, è un video vecchio. Erano altri tempi, non si parlava di legge sulla privacy, però fa effetto entrare senza autorizzazione nei loro sguardi pieni di dolore.

Si susseguono spezzoni in cui una medesima attività viene proposta prima a bambini vissuti in famiglia con i genitori e poi a bambini vissuti in un istituto, privi di una famiglia.

Il confronto è terrificante, impietoso, struggente.

I bimbi che dalla nascita non hanno ricevuto un accudimento individuale, amorevole e sicuro sono distratti, spaventati, apatici, incapaci di giocare, i loro occhi si perdono nel vuoto... sono immagini che frantumano il cuore.

Segue un altro video (perché oggi Youtube mi fa questo?!) che esamina situazioni analoghe, addirittura mostra la regressione gravissima dei bimbi che, dopo aver goduto di una famiglia, a pochi mesi di età vengono lasciati in un istituto.


I miei pensieri si accavallano, si rincorrono, galoppano furiosi.


Da poco tempo, faccio parte di un gruppo di genitori con storie di adozioni "difficili".

I nostri figli, dopo l'adozione, non si sono integrati nel tessuto familiare: figli che mentono, che rubano, che manipolano, che rifiutano ogni regola e autorità, che non riescono a costruirsi una vita equilibrata, figli che assumono comportamenti gravi di devianza sociale, figli che soffrono... soffrono tremendamente e non riescono ad amare né gli altri né se stessi. Figli che sviluppano patologie psicologiche e dipendenze, figli che si rovinano la vita, la loro vita così giovane, bella e ancora piena di promesse.

E nel confronto tra i loro genitori, provati, a volte distrutti, emerge sempre la stessa storia.

Questi figli, abbandonati in tenera età, hanno vissuto i primi anni della loro vita senza qualcuno che li amasse personalmente: nessuna figura di maternage, niente amore, niente coccole, niente appartenenza. Hanno visto solo qualche adulto sbrigativo che si alternava a ore precise, per pulirli sommariamente e passare una ciotola di pappa. In sostanza: non sei di nessuno, se piangi ti calmi da solo, se hai la febbre ti arrangi, passerà. Se cerchi consolazione, dondola pure avanti e indietro, se ti annoi, rosicchia il ferro del lettino e mastica i pezzi di vernice.

Poi sono cresciuti, la famiglia è arrivata, l'amore è arrivato.

Per molti comincia una rinascita, una rivoluzione in grado di operare miracoli, capace di riparare e guarire. Ma per alcuni, per quelli forse più fragili, ormai è tardi, le ferite che si sono formate sono enormi. Per loro quel buco dei primi anni di vita non ha mai smesso di gemere lacrime e sangue... 


Si chiama disturbo di attaccamento, ed è uno tsunami capace di devastare l'esistenza. 

Le cure? Difficili, a volte impossibili. 

È un male che si cura male. 

Deve essere prevenuto. Si può prevenire!

Basta ricordare che per un bambino, specialmente nei primi tre anni di vita, essere amato in una famiglia è importante come respirare. Avere una figura amorevole, affidabile, sempre lei, sempre quella, sempre là per lui, a cui appartenere, è necessario come mangiare, come dormire, è un bisogno primario. Se gliela togli, apparentemente non muore, ma dentro sì, muore.

E allora io mi chiedo: 

perché ancora oggi, anche qui, in Italia, non si considera una priorità assoluta il collocamento del neonato in una famiglia affidataria, quando quella biologica non risulti disponibile? Perché ancora oggi vedo collocare i neonati in alcune case famiglia in cui, pur con buona volontà, amore e coccole, il piccolo viene palleggiato tra mille braccia e non può costruire il suo primo, fondamentale attaccamento?

Lo grido con tutto il fiato che ho in corpo: ci vuole una famiglia. Anche se temporanea. Un attaccamento costruito bene, anche se a tempo, è vitale perché permette di crearne altri a seguire. 

L'amore di una famiglia è il farmaco salvavita che protegge la salute psichica a breve e a lungo termine.

È ora di non commettere più sulla pelle dei bambini questi errori prevenibili.

Da madre che vive una sofferenza inenarrabile insieme al proprio figlio, mi appello a voi, Giudici e Servizi: se un minore fuori famiglia non può essere adottato, chiamate le famiglie affidatarie che avete formato. So che è più facile rivolgersi ai professionisti ma siate coraggiosi, la vostra scelta può salvare la vita di un bambino... e la vita di chi lo amerà.

 

 

Link ai 2 Video a cui si fa riferimento

 





"Per me e per te è stato importante ribadire che io ero un bravo bambino"


Caro Giudice,
sii coraggioso, non avere paura di difendermi da una madre di cui ho terrore, da una madre che mi fa del male, da una madre che mi dà del bugiardo negando gli abusi che mi ha fatto il suo compagno e per i quali sono finito anche in ospedale, da una madre che mi urla tutto il suo odio, da una madre che a 5 anni mi fa dormire da solo ed al freddo in un furgone. 

Io non voglio più vederla, ho tanta paura che lei ricompaia e mi porti via.

 

Vorrei non pensare nemmeno una volta che sono io ad essere sbagliato.

Sai Giudice, dentro di me vive uno scoiattolo che spesso urla, con la voce in farsetto, la sua paura ed il suo immenso bisogno di accudimento .... sì perché io anche se ho solo 6 anni, non posso permettermi di avere paura e nemmeno posso dar voce al mio bisogno di essere amato. Sarebbe devastante toccare con mano la mia solitudine.

 
Grazie Giudice perché mi hai incontrato, perché hai avuto coraggio, perché mi hai protetto da una madre definita persona socialmente pericolosa ma che tu non hai giudicato. Insieme ci siamo detti che non ce la poteva fare ed è stato per te (e per me) importante ribadire che io ero un bravo bambino e che quello che era capitato non era colpa mia.

 

Grazie perché ora ho una famiglia che mi ama, una mamma, un papà, due fratelli più grandi ed un cane. Tu hai permesso che mi adottassero nonostante fosse partito tutto come affido e nonostante la pesante e preoccupante opposizione di mia madre. 

Ora nessuno potrà più portarmi via, ora finalmente lo scoiattolo è tornato felice nel bosco, perché adesso posso dire che non ho paura ed essere rassicurato, ora il mio grande bisogno d’amore è ascoltato.

Sai Giudice ho anche un nonno che mi ha regalato una bici rossa e che mi accompagna a scuola. Quando esco è sempre lì che mi sorride ed insieme andiamo a comprare la merenda.
Il mio nonno mi difende sempre anche quando sono decisamente indifendibile.
Si perché, senza dubbio, sono un bambino impegnativo che non ha paura di niente e di nessuno. Mi fermo solo per amore della mia famiglia.


Vorrei raccontarti una cosa: un giorno ero arrivato da pochi mesi ed ancora dovevo mettere alla prova i miei genitori ed i miei fratelli, ero stato particolarmente faticoso e la mamma (affidataria) in un 
pianto mi disse che non ce la faceva più e che se non fossi cambiato almeno un po’ mi avrebbe riportato in istituto.

Io le risposi che se l'avesse fatto avrei pianto tanto da allagare il mondo.
Mia madre racconta sempre che quello fu il momento in cui diventai suo figlio per sempre. 

 

La mia storia iniziata come affido è sfociata in adozione perché davanti alla dura realtà la Giudice ha voluto darmi la possibilità di appartenere ad una famiglia. 

 

Credo che sia finita bene anche perché la mia mamma adottiva è una gran rompiballe che non si ferma davanti a nulla per il bene dei suoi figli. Di fronte al mio terrore di incontrare la mamma biologica ed al continuo tentennare dei Servizi sociali lei ha chiesto un colloquio con una persona meravigliosa: la Presidente del tribunale per i minorenni.

 

Giudici incontrate le famiglie affidatarie e soprattutto i bambini di cui conoscete le drammatiche storie solo attraverso parole scritte.

Incontrateli e sarà certamente più pensata la decisione sul loro futuro”.

 

Il figlio di una MammaMatta

 



"Sono passati anni e tu, a Natale, mi chiedi la foto del nostro bambino"


Caro Giudice,

 

siamo genitori fortunati perché nella nostra strada gli ostacoli non erano insormontabili.

 

Perché nostro figlio è arrivato a casa serenamente, grazie a tutti quelli che hanno lavorato in sinergia unicamente per il suo bene.

 

Sì, caro Giudice, non sono qui a lamentarmi ma a chiederti di essere così attento, sensibile e professionale come sei stato con nostro figlio e con noi, anche con gli altri piccoli in attesa. Vorrei che tutti i tuoi colleghi potessero essere altrettanto coraggiosi e presenti come sei stato tu in tutto il nostro essere famiglia.

 

Perché certo, sei un Giudice, ma sei prima di tutto una persona ed hai pensato che nostro figlio avesse sofferto davvero troppo e che non c’erano più motivi e giustificazioni tali da tenerlo ancora in comunità. Lui doveva sbocciare e poteva farlo solo con l’amore di una famiglia.

 

Ricordo ogni istante del nostro cammino. Dalla chiamata dell’impiegata della cancelleria, che si presentò carinamente solo col suo nome: “Abbiamo piacere di conoscervi, sappiamo che arrivate da lontano, vediamo insieme quali possono essere le date a voi più comode”…

 

Sì Giudice, avere del personale così attento è una grande fortuna. A volte basta così poco. La disponibilità al dialogo, la collaborazione l’abbiamo avvertita immediatamente. E siamo arrivati da voi talmente felici che ci si leggeva in faccia. Ci aspettavate curiosi e sollevati.

 

Mi viene in mente la tua stanza Giudice, luminosa con disegni di bimbi appesi alla parete. Erano testimonianze di chi era passato lì. Ed erano davvero tante e colorate.

 

Sei stato accogliente e sincero. Abbiamo parlato senza avvertire mai la sensazione che tu avessi fretta o che fossi lì solo per fare il tuo lavoro. Abbiamo sentito che anche per te, quello, era un momento speciale vissuto con speranza.

 

Ci hai spiegato tutto e hai risposto alle domande, anche quelle scomode. Non so quanto sia durato il colloquio. Ma siamo usciti dal Tribunale con un decreto immediato. La documentazione completa e precisa. Nostro figlio è arrivato a casa in sicurezza. L’hai tutelato in ogni ambito. Grazie alla tua puntualità e conoscenza tutto ha funzionato perfettamente.

 

Sono passati anni e tu, a Natale, mi chiedi la foto del nostro bambino. E vuoi sapere se sta bene. E se siamo felici. Grazie Giudice.

 

Spero che altri tantissimi bambini possano incontrare professionisti speciali come te. E che tu non sia una sola goccia nell’infinito oceano dei cuccioli che aspettano di andare a casa”.

 

Una MammaMatta

 




"Grazie per aver ascoltato la richiesta di aiuto di mio figlio"


Grazie Giudice GRAZIE.

 

Grazie per aver ascoltato la richiesta di aiuto di mio figlio, quando ti chiedeva una famiglia anche se ormai era già grandicello e aveva paura che nessuno più lo avrebbe voluto. 

Non dimenticherò mai quella telefonata con il cuore che batteva a mille all'ora, quel cambio improvviso di aereo quando eravamo da tutt'altra parte per non perdere quell'appuntamento in Tribunale… perché se una possibilità c'era non avremmo mai voluto perderla.

 

E quella letterina scritta al Giudice che Lei stesso tirò fuori dalla sua agenda...

 

E quel Suo concederci ulteriore tempo per decidere: ‘Adesso andatevi pure a prendere un caffè, poi tornate e ci dite se siete davvero decisi’. A noi quel caffè non ci serviva, eravamo già super decisi, semmai avevamo paura che non fosse vero!

 

Poi come dimenticare quella mattina, arrivati in anticipo (anche se io sono sempre in ritardo), camminavamo avanti e indietro davanti alla Comunità guardando le finestre per vedere se si affacciava qualcuno. 

Finalmente arrivò l'assistente sociale e si aprì quel portone e un bambino, il più bello del mondo, il nostro, ci venne incontro chiamandoci subito papà e mamma e ci abbracciò... era bellissimo e emozionatissimo come noi. 


E subito siamo stati famiglia, è stato amore immenso, subito.

 

Lui era nostro e noi eravamo suoi come se ci fosse sempre stato. 
Fu una giornata stupenda, ricca di emozioni, progetti, racconti belli e brutti.

 

In serata, quando il nostro piccolo lui ha cominciato a raccontare agli amichetti della comunità la giornata trascorsa insieme, l’arrivo dei suoi ‘genitori buoni’… io non riuscivo a trattenere le lacrime, e lui subito: ‘Mamma perché piangi?’ ‘Perché sono felice, troppo felice -gli risposi -sono lacrime di felicità perché finalmente ti abbiamo trovato’.

 

Nei giorni dell'inserimento si fece qualche acquisto per lui anche se lui diceva sempre che non avremmo dovuto spendere tutti quei soldi per lui e voleva portarci nei negozi dove si spendeva meno.

 

Lo portammo in hotel, la prima camera tutta per lui, dove poteva restare solo il giorno: voleva pranzare li e non gli interessava nemmeno andare al ristorante. Era la prima nostra dimora insieme. 
Gli piaceva farsi lavare e accudire anche se grandicello perché non gli era ancora mai capitato.

 

Poi finalmente andammo a casa: ad aspettarlo c'era una bicicletta più grande di lui, i regali dei nonni e i palloncini e festoni che i nonni avevano preparato, la sua cameretta, i cani e i gatti, una casa vera, la sua. 

Era estasiato, incredulo, felice, chiedeva: ‘Tutto questo è per me?’

 

Invitava gli amici e li invitava in camera sua a vedere quante cose aveva, raccontava che i suoi genitori erano bravi perché apprezzava quello che aveva molto di più di chi lo ha sempre dato per scontato.

 

Non è stato tutto facile, ci sono stati momento duri e difficili, ci metteva alla prova per vedere se lo amavamo davvero, sono state tante le fatiche fatte insieme per recuperare il tempo perso con i sentimenti, con la scuola, con le cose che i bimbi dovrebbero fare pian piano mentre crescono. 

Iniziare tutto da nove anni in poi è stato una rincorsa contro il tempo perché il nostro piccolo potesse raggiungere i suoi obiettivi, perché potesse sfruttare le sue potenzialità al meglio di quello che poteva.. e poi quanto dolore, quanti racconti del passato con quei genitori che chiamava ‘i genitori cattivi’... e noi a rassicurarlo che quelle cose non sarebbero più successe, le sue preoccupazioni di diventare come loro, il suo desiderio di rinascere nella mia pancia, la paura che non lo amassimo abbastanza, il tenerci lontani e lui nel mezzo per dire: ci sono anche io!

 

Poi il tempo è passato progressi ne ha fatti tantissimi si è inserito nella nostra famiglia e in tutto il parentado.

 

Adesso è un ragazzo bellissimo dolce e affettuoso anche se a volte per farsi vedere grande preferisce farsi baciare che baciare lui!

 

E bello, è felice e ha tanti amici. A volte ripensa alle sue origini, il suo passato ormai è anche il nostro, brutti ricordi ce ne sono ma il passato non tornerà più.

 

Ora lui è il nostro figlio grande, il primogenito quello che ci ha fatti diventare mamma e papà per primo. Si perché poi di gioielli ne sono arrivati altri, uno più bello dell'altro, ognuno con una storia diversa, ognuno irrinunciabile e prezioso e tutti sono la nostra vita.

 

Adesso siamo una grande famiglia di cuore che con il cuore la vita ci ha fatto capire che l'amore è amore, non importa da dove arrivi ma dove resti, ci ha fatto capire che amare e dare ti restituisce una felicità incommensurabile, una carica incredibile per cui non c’è fatica che non meriti di essere fatta.

 

Grazie Giudice di averci chiamati! E scusa se non ti abbiamo ascoltato quando hai detto che era presto per continuare ad accogliere… Ma abbiamo fatto bene.. perché l'amore non si divide ma si moltiplica!”

 

UnaFamigliaMatta

 



Mi chiedo cosa significhi per te la parola PRESTO"


Dicembre 2017. Solita mattina al lavoro. Intervallo. Squilla il telefono...
Caro Giudice, eri tu che mi chiamavi per chiedere se io e mio marito fossimo disponibili ad accogliere una neonata affetta da una sindrome genetica.
Chiusi il telefono, le gambe non mi reggevano. Chiamai subito mio marito. Ti ricontattammo per dirti di sì e ci fissasti il primo colloquio in Tribunale per i minorenni.

 

Ricordo che per tutto il viaggio non chiusi occhio per l’euforia. Arrivò il momento di conoscerci. Dopo il colloquio ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti presto.

 

Caro Giudice, ancora oggi io mi chiedo cosa significhi per te la parola “presto” visto che la nostra piccola, che al momento del nostro incontro aveva appena quattro mesi, ha dovuto trascorrere ulteriori tre mesi in comunità, lontana dall’affetto e dal calore di una vera famiglia.

 

Caro Giudice, noi ti dovremmo essere grati per averci dato la possibilità di diventare genitori, però, ti prego, lasciamelo proprio dire: in tutto il periodo di affidamento preadottivo ci siamo sentiti davvero soli ed abbandonati, in balia di tutori per i quali nostra figlia è stata solo un numero, un fascicolo da rispolverare ogni tanto, quando e se si ricordavano.

 

Anche le più ordinarie procedure per noi sono state un calvario. E nemmeno adesso, anche se TU hai decretato la definitiva adozione di nostra figlia, le cose non sono cambiate perché la residenza non è da noi ed io non posso usufruire dei permessi per la 104 ogni volta che dobbiamo portare la bambina presso l’ospedale che la tiene in cura da quando è nata.

 

Caro Giudice, ma ti rendi conto che nostra figlia ha una patologia genetica rara e che ha bisogno di monitoraggi e cure continue e tu ci hai lasciati soli?

 

Lasciamelo proprio dire: se da una parte ti dobbiamo essere grati per averci scelto come genitori di nostra figlia, ogni volta che si presenta un problema mi sento davvero impotente e penso che qualcuno potrebbe aiutarci, ma non lo fa.

 

I bambini come nostra figlia hanno cominciato la loro vita già in salita e tu, caro Giudice, non la rendi più facile”.

 

Una MammaMatta

 



"Chiediti cosa faresti se fossi Tu quel bambino"


"Caro Giudice,

 

chi ti scrive è una Famiglia aspirante accogliente... da 6 anni. 

Abbiamo imparato tanto in questi anni, siamo cresciuti, così come è cresciuta la voglia di accoglienza.

Abbiamo capito che i bambini sono TUTTI bambini anche chi sulla carta supera gli 8 anni.
Abbiamo capito cosa si può e non si può accogliere, nel bene del minore, affinché l'accoglienza sia per sempre.
Abbiamo capito che adozione e affido si fondono in nuove proposte e nuove idee, come per esempio il sine die.
Caro Giudice, ma tu hai idea di cosa siano 6 anni per i bambini che rimangono in comunità?
Noi abbiamo alle spalle 6 anni di continui colloqui, esami medici, relazioni sul lavoro, sul reddito, sulla casa, sulla famiglia, sui nonni, sui gatti.

 

Sai, caro Giudice, che ci hanno convocato ed abbiamo conosciuto in totale 9 giudici diversi di diverse Regioni?
Sai che abbiamo parlato con non sappiamo più quanti Servizi sociali?
Tutti ci dicono “quanto siete bravi, maturi, idonei... Ad avercene di famiglie così!” E sorpresa! CI SIAMO. ESISTIAMO.
Puoi immaginare quanto pesi il trascorrere dei giorni ad ogni bimbo che rimane in comunità?
Hai un numero concreto di bimbi affidati alle comunità del tuo distretto?
Caro Giudice, sai che gli Assessori alle Politiche Sociali dicono che sono alla ricerca disperata di famiglie accoglienti e non le trovano?
Sai che durante i corsi per abilitazione adozione i Servizi dicono che in Italia i bambini non ci sono?
Caro Giudice, sicuramente non tu, ma lo sai che alcuni tuoi colleghi nemmeno prendono in mano i fascicoli delle famiglie dichiarate ampiamente idonee dagli scaffali delle cancellerie adottive?
Sai Giudice, le chiacchiere stanno a zero.

 

Basta parlare, basta.
Ci sono i bambini che aspettano, che hanno diritto ad avere una casa, una cameretta, dei genitori che gli tengono la mano quando attraversano la strada, che li coccolano se stanno male, che li capiscano e hanno il delicato compito di prendersi tutto il loro dolore e tutta la loro fatica di aver vissuto il trauma di una famiglia disfunzionale, di botte, abusi, privazioni.

Questi bambini hanno diritto a diventare adulti equilibrati e felici.

Basta colloqui, basta convocazioni a vuoto.
Caro Giudice, metti mano ai mille fascicoli che hai nella tua cancelleria e metti mano ai mille bambini piazzati nelle comunità e fai quegli abbinamenti!
Servono i fatti, non le ennesime parole.
Caro Giudice, prenditi la responsabilità che ti è stata conferita e fai in modo che il Diritto di ogni bambino ad avere una famiglia non sia solo una frase fatta che ci fanno imparare a memoria durante i corsi.
Perché ti svelo un segreto: noi famiglie ci crediamo ancora. Crediamo ancora che sia vero il Diritto del Minore.
Caro Giudice, una comunità, una casa famiglia NON è una famiglia. Non puoi nasconderti dietro al fatto che siano al sicuro.
Prenditi le tue responsabilità, se i tuoi Servizi lavorano male, diglielo.
Se le famiglie che vorresti conoscere ci sono, chiamale e senti a che punto stanno, quali giudici hanno incontrato; chiamatevi da Tribunale a Tribunale, e scambiatevi le informazioni.
Dimezza i tempi. Non rimandare continuamente.

 

E quando trovi chi ti piace per quel bambino, FALLI INCONTRARE SUBITO.

 

Manda a casa il bambino in attesa delle vostre burocrazie perché non si può sentire che passano 9/12 mesi dall'abbinamento ad andare a casa.
Chiediti cosa faresti se fossi tu quel bambino. Come vivresti l'attesa? Quanti pianti ti faresti convinto che mai nessuno ti porterà a casa, una casa vera?
6 anni caro Giudice. 6 anni in cui un bimbo poteva essere a casa.
Grazie per l'attenzione”.

 

Una MammaMatta

 



Ai bambini corre il tassametro della vita..."


Caro Giudice,

 

questa mia lettera vorrei non venisse interpretata come un insulto ma solo come lo sfogo di una mamma affidataria che vede troppo e, purtroppo, non può fare molto se non rendersi disponibile ad aiutare bambini. 

 

Troppi bambini AL DI SOTTO DEI SEI ANNI stazionano in attesa, in un limbo, in comunità. Per anni. Per quanto ben strutturate e gestite, niente hanno delle caratteristiche che servono ai bambini per crescere amati e curati.

Una madre presente ventiquattro ore al giorno non potete paragonarla neppure alla lontana con un educatore o educatrice che, per quanto abbia studiato e sia bravo, alla fine delle s
ei ore lavorative stacca e se ne va a casa sua. 

 

Non conta se il bimbo che segue ha la febbre o il mal di pancia lo seguirà chi rimane in servizio e domani si vedrà. La legge dice che da zero a sei anni è l’affido familiare la giusta locazione per un bimbo la cui famiglia di origine non sia in grado di seguirlo ma questa legge è disattesa e non so perché: ipotesi ne potrei fare tante ma sono tutte così brutte e lontane dal 'supremo interesse del minore' che preferisco non approfondire. 

 

Sono mamma affidataria di un ragazzino con ritardo cognitivo, vive con noi da due anni e mezzo ed ha fatto molti miglioramenti, lo scorso anno il logopedista valutava le sue capacità al pari di un bimbo di quattro anni e mezzo, quest'anno lui legge. Per adesso solo lo stampatello maiuscolo ma stiamo iniziando con il minuscolo, fa basket all'inizio non riusciva a palleggiare nemmeno con una mano adesso lo fa con tutte e due e mentre corre, fa musica insieme ad altri bambini, non diventerà Beethoven ma lui ama la musica e questo a noi basta. 

 

Per riuscire a toglierlo dalla comunità dove viveva c'è voluto un anno di burocrazia e 'rabbia' nostra perchè quando ci lamentavamo delle lungaggini la risposta era "ma mica è in pericolo in comunità ci vive bene!”

 

Ai bambini corre il tassametro della vita non rimangono bambini per sempre ed il tempo perso non si recupera”, questo rispondevo io, ma tutti mi consideravano solo una rompico@@@oni.
Facile per chi invece dei bambini ha di fronte un fascicolo dove ci sono informazioni ma non l'essenza stessa del bambino di quel bambino che pur in 'ritardo' ti chiede: MA QUANDO POSSO VENIRE A VIVERE CON VOI? 

 

Dopo attente valutazioni sul grado di tranquillità del mio bambino (perché mio è) e sulla possibilità di accogliere un altro bambino ci siamo resi disponibili ad accogliere un altro bambino, più grave perchè non parla e non cammina e forse non lo farà mai ma, essendo io un operatore socio sanitario e non lavorando più, la disabilità non mi fa paura, è vero sono vecchietta, ho 50 anni, ma la volontà di aiutare ed il cuore grande per amare non mi mancano ed anche le forze e la famiglia intorno. Anche solo per il tempo che voi riusciate a trovare la famiglia perfetta. 

 
Non siamo ancora riusciti a capire se quel bambino arriverà mai da noi ma sappiamo che è in comunità e ciò ci fa orrore, sembra che per i bambini le perdite di tempo non siano importanti: mesi, anni di immobilismo.
(Fermo restando che mia figlia è disposta nel futuro a farsi carico sia del primo bambino se non dovesse rientrare in famiglia che di questo secondo se mai arrivasse).

 

Cari Giudici, vorremmo capire perchè deve rimanere in comunità.

 

Se non ci ritengono idonei sul lungo periodo perchè in attesa di una famiglia che lo voglia adottare non lo fanno vivere con noi? 


In comunità vive lontano dagli altri bambini perchè avendo il sondino ritengono pericoloso farlo stare con gli altri ed essendo un bambino scarsamente reattivo nessuno interagisce con lui. 

 

A me questa storia toglie il sonno. 

 

Chi opera nei tribunali e nei servizi sociali dovrebbe visitare le comunità come volontari e non in veste ufficiale forse solo così le comunità si svuoterebbero e meno famiglie disponibili rimarrebbero tali solo sulla carta.

 
Quando ho portato a casa con me il primo bimbo una sua amica che viveva anche lei in comunità invece di salutarmi mi ha colpito con un cazzotto mentre un'altra, un pò più grande, mi disse "portami via con te, ho le scarpe posso venire" queste due manifestazioni di desiderio di famiglia
(opposte nella forma ma uguali nel significato) mi fecero allontanare da li con un magone così grosso da sciupare anche la gioia per aver portato il mio bimbo a casa. Solo dopo che le MammeMatte mi hanno detto che anche loro due hanno trovato una famiglia ho tirato un sospiro di sollievo.

 

Spero che queste mie parole siano in qualche modo utili a smuovere qualche coscienza…"

 
Una
MammaMatta